Siamo spesso debitori di cose essenziali per il progresso tecnico ed economico a persone grandissime nella sfortuna.
Un esempio è offerto dall’americano Charles Goodyear, un vero e proprio appassionato della gomma: egli era infatti convinto che questa sarebbe divenuta il materiale del futuro, destinato a rivoluzionare le abitudini di ogni attività umana, al punto che egli stesso era solito portare un bastone da passeggio ed indossare abiti rivestiti in gomma.
Una prima manifattura fu tentata nel 1820 dall’inglese Thomas Hancock: i prodotti ottenuti, però, avevano una durata limitata e soprattutto divenivano appiccicosi al caldo e fragili al freddo, cosicché nel 1830 la “febbre della gomma” era già finita, e migliaia di oggetti venivano buttati via o restavano invenduti.
Fu proprio a questo punto che fece la sua comparsa Charles Goodyear, americano originario dello stato del Massachusetts: la leggenda vuole che egli, in prigione per debiti, si fosse fatto portare dalla moglie dei campioni di gomma per vedere come potevano esserne migliorate le caratteristiche.
Una volta tornato a casa, provò allora a scaldare la gomma unita a della magnesia, con i vicini che protestavano per il puzzo insopportabile che si levava dalla sua casa: per farla breve provò molte altre sostanze e, facendosi prestare dei soldi, cercò di produrre una sorta di soprascarpe di gomma che erano una peggio dell’altra.
La grande crisi economica americana del 1837 lo gettò sul lastrico obbligando la sua famiglia a tirare avanti con quel poco pesce che riusciva a pescare nel porto di Boston.
Goodyear però non si perse d’animo, continuando ad eseguire con zelo migliaia di esperimenti: la moglie Clarissa, stanca di questo stile di vita, pregò spesso il marito perché vi ponesse fine, cercando inutilmente di convincerlo a sostenere la famiglia con qualsiasi altra attività che gli permettesse di guadagnare almeno qualche dollaro.
Una sera del 1839 Charles, accorgendosi che la moglie stava rincasando prima di quanto si aspettasse e tentando di nasconderle l’attività a cui si stava dedicando, interruppe bruscamente l’ennesimo esperimento, e nella concitazione del momento finì col riporre la miscela di gomma e zolfo sulla quale stava lavorando nel primo nascondiglio che gli capitò sotto le mani, ovvero nel forno.
Solo più tardi avrebbe constatato come quella stessa sostanza fosse diventata resistente e flessibile: Goodyear aveva casualmente scoperto il procedimento che avrebbe poi rinominato con il termine “vulcanizzazione”.
Dopo un altro inverno di miseria, malattie e lutti familiari -dei suoi dodici figli ben sei morirono nell’infanzia- Goodyear finalmente trovò degli industriali, i fratelli Ryder, che riconobbero l’importanza della scoperta.
Per quanto bravo tecnicamente, però, Goodyear commise tutta una serie di errori commerciali e brevettuali, e negli Stati Uniti una moltitudine di altre persone cominciò a sfruttare illegalmente la sua idea, costringendolo ad affrontare costose cause legali: pur di trovare finanziatori mandò quindi alcuni campioni in Inghilterra, ed uno di questi cadde sotto gli occhi del già menzionato Thomas Hancock.
Questi notò la presenza dello zolfo e prontamente ne brevettò, nel 1843, l’effetto vulcanizzante, “scippando” a Goodyear la scoperta che aveva fatto quattro anni prima: quando quest’ultimo il 15 giugno del 1844 presentò la propria domanda di brevetto scoprì con rabbia che Hancock lo aveva preceduto di pochi mesi.
Goodyear presentò comunque i suoi oggetti di gomma alle fiere mondiali di Roma e Parigi del 1850, nelle quali riscosse sì un grande successo, ma finì di nuovo in prigione per debiti: fu proprio in carcere, ironicamente, che conobbe l’apice della sua gloria, poiché qui ricevette per la sua scoperta la Legion d’Onore dall’imperatore francese Napoleone III.
Nel 1855, nel corso dell’ultima di tre controversie legali con un altro pioniere della gomma, Stephen Moulton, il brevetto di Hancock fu contestato proprio con l’accusa di aver copiato Goodyear, che da parte sua assistette al processo. Se Hancock avesse perso, a lui sarebbe stato concesso il brevetto britannico, cosa che gli avrebbe consentito di rivendicare royalties sia da Hancock che dallo stesso Moulton: diversi chimici tuttavia testimoniarono infine che non era possibile determinare in che modo la sostanza fosse stata creata, cosicché Hancock prevalse.
Goodyear non ebbe mai la possibilità di trarre un beneficio materiale dalla sua invenzione, ed anzi alla sua morte lasciò 200.000 dollari di debiti alla famiglia: nel testamento scrisse che “la vita non si può valutare solo sulla base dei soldi: non mi rammarico di aver seminato e che altri abbiano raccolto i frutti del mio lavoro. Un uomo deve rammaricarsi soltanto se ha seminato e nessuno raccoglie”.
La notorietà del nome Goodyear oggi si deve all’omonima azienda inglese costruttrice di pneumatici: la Goodyear Tire and Rubber Company, tuttavia, fu fondata in Inghilterra da Frank Seiberling ben 38 anni dopo la morte di Charles Goodyear, e pur portandone il nome non ha niente a che fare con la famiglia dello sfortunato inventore.
Oggi nel mondo il commercio della gomma riguarda ogni anno oltre 21 milioni di tonnellate di materiali che entrano nei copertoni di automobile e di aereo, nei fili elettrici, nei rulli industriali, in innumerevoli merci e processi industriali: tutto grazie al povero Goodyear.
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